Capannoni, ecologia e autonomia energetica
Capannoni CEDI e poli produttivi: strutture energivore
Fortemente attuale è il tema dell’approvvigionamento energetico, e sicuramente in questo momento è molto avvertita la pulsione morale, strategica e professionale di veicolare le proprie attività verso una maggiore sostenibilità da questo punto di vista.
Abbiamo già parlato (e prevedibilmente lo faremo ancora) di carburanti alternativi per l’alimentazione delle flotte su strada, ma anche le attività di magazzino, dei centri di produzione e di distribuzione subiscono in maniera importante l’impatto del costo dell’energia, e vengono destabilizzate dall’oscillazione attuale della relativa variabile.
Il banale riscaldamento invernale di un classico capannone è di per se un’opzione che deve essere ben ponderata, considerandone volumi (spesso ingenti su tutte e tre le dimensioni) che prassi di utilizzo (se con ribalte a accessi carrai aperti e quanto a lungo, ad esempio), che il generale livello di efficienza e manutenzione.
Un ulteriore livello di ragionamento deve essere fatto ipotizzando una climatizzazione a quattro stagioni, che contempli una refrigerazione estiva che renda percepito per tutto il corso dell’anno il costo affrontato per la climatizzazione degli ambienti.
Ma il consumo derivante dalla climatizzazione, o dall’illuminazione degli ambienti, se pur rilevante, è certamente subordinato alle necessità energivore conseguenti alla natura dell’attività stessa, che si tratti di attività produttive con l’utilizzo di macchinari, o di centri di distribuzione, magari con zone a temperatura controllata (molto diffuse ed utili alla distribuzione alimentare, o farmaceutica).
Anche le aree adibite ad ufficio comportano consumi consistenti, considerando l’alto numero di apparecchi elettronici simultaneamente operative: computer, schermi, fotocopiatrici, stampanti, scanner, gruppi di continuità, telefoni, server…
Manovre di contenimento:
Certamente il primo, e più economico intervento che può essere fatto per il contenimento del consumo dovuto all’attività è di tipo culturale, e consiste nell’individuazione e nella valorizzazione di quelle che sono le prassi virtuose nell’utilizzo e nell’amministrazione di ognuna delle risorse aziendali. Eliminare gli sprechi, discutere nelle varie aree di quali siano le prassi energivore e di come contenerne l’impatto attraverso il corretto utilizzo, la manutenzione e la cura dei dettagli.
Spegnere ogni attrezzatura al termine del suo utilizzo mantenendola pulita e effettuando la corretta manutenzione. Evitare lo spreco e la ridondanza produttiva, ma anche informativa e documentale. Comprendere come la “parsimonia” non significhi “austerità”, ma che anzi contribuisca a prevenirla.
In secondo luogo è opportuno effettuare una verifica ed avere coscienza della qualità tecnologie e del livello di efficienza delle infrastrutture che si hanno in gestione. Certamente investire in impianti di climatizzazione e di alimentazione più moderni e performanti contribuisce ad una riduzione del consumo, ma è altrettanto importante comprendere quanti altri aspetti vadano potenziati simultaneamente per l’ottimizzazione dei benefici dovuti a questo genere di investimenti. L’isolamento termico di queste strutture non è affatto un tema banale: ribalte, zone di carico-scarico e accessi carrai devono essere moderni, performanti e ben mantenuti, oltre che gestiti con coscienza.
Approvvigionamento diretto: il fotovoltaico
Esiste poi una maniera diretta di apportare l’argomento, ovvero dotare la propria struttura della possibilità di produzione diretta di una certa quantità di energia, attraverso l’installazione di impianti fotovoltaici. La quantità di questa energia dipenderà direttamente dalla vastità dell’area destinata alla copertura fotovoltaica, e dalla potenza dei pannelli installati (con conseguenze dirette sul costo dell’impianto stesso).
La natura delle strutture le rende particolarmente calzanti a questo genere di iniziativa, data la loro vasta estensione in termini di superficie occupata. Sotto questo aspetto la copertura fotovoltaica delle strutture industriali dovrebbe rappresentare un imperativo morale visto l’alto impatto ambientale delle aree edificate e le esigenze energetiche: esiste il paradosso di aree naturali (nei deserti, nei mari ma anche attraverso il disboscamento) destinate ad ospitare estesissime installazioni fotovoltaiche allo scopo produrre energia, e trovo inspiegabile come invece, in ambiti urbani già deturpati dall’esistenza di aree destinate alla produzione industriale, non vengano utilizzate le strutture già esistenti allo stesso scopo (dai tetti delle quali, nel nostro paese, non siamo ancora riusciti ad eliminare in maniera definitiva l’esistenza di materiali dannosi ed obsoleti quali l’eternit o l’amianto…).
Il problema ovviamente credo sia di costi, della pertinenza degli stessi, ma anche la scarsa visione prospettica di chi si rende reticente ad un investimento che nei fatti, seppur ingente, si risolverebbe sempre autoliquidandosi.
L’energia prodotta da un impianto del genere, viene direttamente impiegata nell’alimentazione della struttura ospite, comportando per questa un immediato e significativo risparmio sugli investimenti necessari al sostentamento energetico.
Oltre a questo, per chi decidesse di connettere alla rete elettrica il proprio impianto, esiste la possibilità di remissione dell’energia prodotta in surplus, con ulteriore beneficio economico derivante, sebbene normativamente, ad oggi, non sia possibile passare ad un riscontro attivo. A meno di non approfittare delle incentivazioni introdotte col decreto FER 1, che però sono applicabili solo su impianti nuovi ed acquistati per sopperire alla rimozione completa della copertura di un edificio in eternit o amianto.
Più facile sarebbe invece accedere ad opzioni denominate “scambio sul posto”, che prevedono la riscossione di un conguaglio in bolletta, senza però eccederne il valore.
Altra forma di incentivazione prevista è relativa al credito di imposta, attualmente scesa dal 10 al 6 %, ma tutt’ora presente e impattante in termini di riduzione dei tempi di ammortamento.
Si può beneficiare infine del reverse charge (ovvero l’inversione dell’onere dell’IVA dal cliente al fornitore), oltre che del boost ai finanziamenti relativi previsto dalla “nuova Sabatini”.
In conclusione
Le buone pratiche ed il miglioramento delle proprie prassi e dei propri processi produce senza dubbio risultati rimarchevoli in termini di risparmio energetico. Ma è altrettanto certo che per massimizzare gli effetti in termini di autonomia sia necessario ammodernare strutture ed impianti, investendo con decisione su forme di alimentazione diretta che possano ridurre drasticamente l’impatto ambientale ed i costi di sostentamento della propria impresa.
I costi di fornitura ed installazione degli impianti più moderni e performanti sono ancora spaventosamente alti e si aggirano intorno ai 2000 € per Kw di potenza installato. Specialmente di questi tempi però, la scelta strategica di rendere più indipendente dal punto di vista energetico la propria impresa sta gerarchicamente crescendo nel novero delle priorità economiche, e non si limita più ad essere un dovere ambientale. Certamente munire il proprio centro di distribuzione, così come il proprio polo produttivo di un moderno impianto fotovoltaico è un modo concreto per muoversi verso questa direzione.