Logistica & great resignation
Un fenomeno di grande attualità che sta caratterizzando il mercato del lavoro degli ultimi due anni è quello definito della Great Resignation. Si tratta della sempre crescente tendenza, iniziata in coincidenza del primo “lock down”, alla rassegna delle dimissioni volontarie di lavoratori dipendenti i quali, nella maggior parte dei casi, non sono ancora nel possesso di una nuova opportunità professionale.
Il paradigma (o forse sarebbe meglio dire il “mito”) della Great Resignation prevede che la larga maggioranza dei dimissionari siano giovani al di sotto dei 45 anni che decidono di stravolgere la propria esistenza riappropriandosi del proprio tempo e relegando la carriera ad elemento di contorno destinato unicamente al sostentamento di una vita che (sempre nella letteratura più visionaria a riguardo) si va definendo come sempre più “rurale” e distante dai grandi centri urbani.
Verità o Leggenda?
Nonostante sia difficile inquadrare le macrostatistiche all’interno di interpretazioni certe ed univoche, il fenomeno trova riscontri ufficiali a livello globale, dove, con differenze significative tra diverse nazioni, viene investigato da organi più o meno ufficiali:
Ha fatto molto rumore lo studio di McKinsey attestante che il 40% dei lavoratori di tutto il mondo stia pianificando di cambiare lavoro entro il semestre successivo.
Ma anche in Italia il fenomeno esiste e lascia traccia a livello statistico, come confermano i dati pubblicati dall’Osservatorio sul Precariato dell’INPS: a quanto pare le dimissioni volontarie nel primo semestre del 2022 sono state 3.322.000 ovvero il 36% in più rispetto allo stesso periodo del 2021 e riguardano tutte le tipologie contrattuali.
Secondo uno studio dell’Associazione Italiana Direzione Personale le dimissioni volontarie degli under 35 preoccupano il 60% delle aziende e riguardano soprattutto il Nord Italia.
Anche i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali conferma il dato attestando al 43,7% la crescita tendenziale delle cessazioni di rapporti di lavoro del secondo semestre del 2021 con un incremento significativo di quelle rassegnate su base volontaria, e certificando che la quota di abbandono volontario sul totale degli occupati ha superato il 2% per la prima volta da anni.
Un fatto quindi, non una suggestione. Una evidenza che occorre analizzare e comprendere onde evitare che la deriva estrema di questo fenomeno possa rappresentare un ostacolo grave rispetto a quel “salto di qualità” che il mondo della logistica è chiamato a compiere nei prossimi anni per garantire il funzionamento del sistema distributivo a livello globale.
La crisi degli autisti: un fenomeno risalente
Sicuramente la più grande carenza nel settore logistica e trasporti si riscontra nel mondo degli autotrasportatori, dove l’atavica mancanza di autisti mette duramente alla prova la capacità di servizio degli operatori di settore per l’intero sistema economico nazionale.
Un fenomeno incidente in questa direzione è stato storicamente il caro licenze, anche se allo stato attuale il costo di tale qualifica è frequentemente affrontato direttamente dalle aziende stesse che possono beneficiare di appositi contributi statali dedicati, vista la strategici del settore.
Si approssimano a 20.000 le posizioni attualmente vacanti nell’ambito, e pare chiaro che alla creazione di questa emergenza contribuiscano in misura perlomeno minore motivazioni di tipo salariale: tradizionalmente la mansione è retribuita piuttosto bene, e certamente in questo momento le proposte tengono conto dello squilibrio tra domanda e offerta.
Neanche a dirlo a mancare sono soprattutto i giovani, ed in particolare i giovani di nazionalità Italiana, che nelle statistiche stanno scomparendo.
Si tratta quindi davvero di una manifestazione dello stesso fenomeno di cui sopra, ovvero di una di quelle professioni che vengono abbandonate in massa a causa di uno sbilanciamento giudicato troppo oneroso nel rapporto tra costi e benefici implicati a livello sociale.
Il problema è reale e reali sono le risorse che vengono investite per mitigare e contrastare il fenomeno: se da un lato nel breve termine nei periodi di picco le grandi aziende altro non riescono a fare che assoldare autisti dall’Est Europa integrando le flotte a costi poco coerenti per garantire la copertura delle necessità delle committenti, dall’altro fioriscono iniziative quali “l’Ethical Transport Approach”, manifesto che contiene una serie di buone norme per la gestione del personale che le aziende possono liberamente sottoscrivere per rendersi più attraenti per potenziali nuovi candidati (sancendo, oltre al resto, la centralità del fattore umano nell’esperienza lavorativa, la disponibilità di aree relax e servizi doccia nelle pertinenze della società ed investimenti sulla formazione continua del personale coinvolto).
Il settore dell’autotrasporto rappresenta attualmente il picco maggiormente esposto al fenomeno, sebbene chi abbia esperienza degli ambiti di magazzino e dei centri di distribuzione si renda certamente conto di come lo stesso effetto sia percepibile. Se non si parla di Great Resignation è forse solo perché tali ambiti sono da sempre poco frequentati ed ambìti dai giovani italiani, ed è quindi difficile che nelle statistiche possano figurare le dimissioni di impiegati fondamentalmente mai assunti.
Logistica e attrattività del lavoro
Sebbene le statistiche americane dichiarino il settori della Logistica e della Supply Chain piuttosto al sicuro dal fenomeno della Great Resignation, ritengo che i panorama europeo (e quello italiano in particolare) debbano invece riflettere a fondo su come potersi rendere più attraenti per i migliori talenti.
Il panorama americano vive ormai del concetto di Logistics As A Service, dove i servizi di delivery sono adeguatamente inquadrati contrattualmente, dove il ricorso allo smart working (laddove possibile) è massivo, e dove le strutture, i mezzi ed i dispositivi utilizzati nell’espletamento delle attività sono prevalentemente di ultima generazione e tecnologicamente avanzati.
Diverso è il panorama nazionale dove l’eccellenza del servizio è perseguita soprattutto con lo spirito di sacrificio oltre a moli e turni di lavoro difficili da assimilare.
Sicuramente il settore dal punto di vista economico si rivela piuttosto munifico, ed in grado di elargire retribuzioni perlomeno in linea con il mercato attuale, specie se si considera l’esiguità dei requisiti per l’accesso all’attività. Altrettanto certamente però, la vera attrattiva economica delle attività inerenti il settore della logistica è rappresentata dal massivo ricorso al lavoro straordinario, notturno e festivo, elementi questi che rappresentano i principali fattori scatenanti fenomeni di “burnout” e la necessità di intervento nel riequilibrare il “work-life balance”.
Esistono sicuramente differenze tra settori, categorie merceologiche e tipologia delle aziende prese in analisi: nelle aziende più piccole o nelle realtà produttive le attività di logistica solitamente sono gestite all’interno dei classici orari di ufficio, ed il ricorso al lavoro notturno o festivo, ed ancor di più quello del famigerato “7 su 7” è più raro (anche se come conseguenza il soddisfacimento economico derivante è solitamente minore). Nelle attività della Grande Distribuzione questi fattori sono ormai uno standard consolidato che rappresenta uno scoglio difficile da superare per chi si affaccia al mondo del lavoro cercando di preservare spazi da destinare alla coltivazione delle proprie passioni o da dedicare alla propria vita familiare.
Nei miei ormai oltre vent’anni di lavoro nell’ambito ho sentito tante discussioni riguardo alla penuria di giovani motivati, specie se italiani, all’interno dei magazzini ma ho sentito pochissimi ragionamenti su come si possa intervenire per rendere l’attività di logistica più confacente alle loro necessità, ai loro desideri.
Io credo che tanti di noi abbiano il fenomeno davanti agli occhi, ed abbiano in questi anni visto rinunciare a carriere in quest’ambito diversi giovani prospetti interessanti, sui quali pensavano di investire e che reputavano degni di ereditare posizioni di rilievo in azienda, ma che si sono dimostrati inadatti allo stile di vita che il lavoro di magazzino (e forse ancor più quello dell’autotrasporto) comporta.
Snobbismo giovanile?
Certo non si può pensare di stravolgere l’attività per trattenere un talento, ma la riflessione che forse sempre di più in futuro ci troveremo nelle condizioni di dover fare riguarda la natura del compromesso che chiediamo e che riteniamo accettabile, per convincere un candidato a resistere alla difficoltà.
Sicuramente un settore altamente produttivo non può piegare la natura delle proprie operazioni alle necessità del singolo, ma in un panorama che in futuro vorremmo sempre più professionalizzante e specializzato forse dobbiamo anche riflettere su come creare, su chi trasferire e su come coltivare quelle competenze che certamente aumenteranno, e che altrettanto certamente saranno fondamentali nel garantire competitività e resilienza delle aziende che domineranno il settore in futuro.
Perché nella mia percezione del fenomeno, nel nostro mondo attualmente quello che sta mancando non è la quantità di candidati che deve ricoprire (in via più o meno definitiva) i ruoli lasciati vacanti dalle figure costantemente uscenti in un turn over infinito, ma la qualità dei candidati su cui puntare per compiere un percorso di specializzazione nella creazione di figure strategicamente preziose e professionalmente indispensabili all’evoluzione della propria attività aziendale.
Certo parlare di questo argomento in anni di crisi occupazionale fa venire anche voglia di cedere ai luoghi comuni sulla mancanza di nerbo dei giovani d’oggi e sulla loro scarsa disponibilità al sacrificio, ma, sebbene non credo che siamo avviati al ritorno di fantomatiche comunità “Hippie-Hipster” che abitano le campagne coltivando il proprio cibo, ritengo che la società debba riflettere sul ruolo del lavoro e su come questo possa rendersi confacente alle normali aspirazioni da conseguire a livello sociale. E ritengo che il mondo della Logistica e della Supply Chain abbiano più urgenza di altri settori di farlo, dato che necessitano di un potenziamento delle proprie performance che non può non passare da una maggiore professionalizzazione di tutte le figure in essi coinvolte.