Zone economiche speciali e logistica: un connubio possibile in Italia?
Da qualche tempo in Italia sono emersi diversi progetti di istituire Zone economie speciali (Zes) all’interno o a ridosso dei porti su proposta di vari stakeholder pubblici e privati per rilanciare le attività logistiche e spedizionieristiche.
Le Zes sono aree territoriali a cui viene concessa una legislazione tributaria, contributiva e societaria agevolata rispetto ad altre zone o regioni di un medesimo Stato. Le agevolazioni hanno l’obiettivo di attrarre investimenti dall’estero in attività produttive o commerciali da insediare nelle Zes e quindi indirettamente in queste aree il volume di merci in import/export lievita in maniera più che proporzionale.
Esistono varie tipologie di Zone economiche speciali a seconda del tema strategico generale proposto per il loro tramite. Un esempio di Zes è rappresentato dalle zone franche, ossia aree in cui alle merci e ai beni ivi depositati e commercializzati non viene attribuita alcuna destinazione doganale con conseguente esenzione da diritti e oneri. Un’altra tipologia è rappresentata dai parchi tecnologici e industriali istituiti e opportunamente agevolati per la ricerca, l’innovazione e la realizzazione di determinate produzioni.
L’ultimo a chiedere pubblicamente una Zes per un’area a Santo Stefano Magra è stato il porto di La Spezia evidenziando il fatto che questo strumento rappresenterebbe un volano per rilanciare il triangolo logistico con il vicino scalo di Marina di Carrara. Prima ancora richieste simili erano arrivate anche per il porto di Venezia, di Gioia Tauro, di Cagliari e per gli scali di Genova e Savona.
In quest’ultimo caso l’appello era stato lanciato da Spediporto, la locale associazione degli spedizionieri, secondo il cui presidente Alessandro Pitto la tendenza «è quella di ricercare soluzioni di logistica che includano, oltre al momento portuale, anche quello di lavorazione e manipolazione delle merci a condizioni economiche e fiscali favorevoli. Ecco perché strategicamente per Genova e la Liguria avrebbe senso inserirsi, con un progetto strutturato, all’interno della politica di rilancio delle Zes». Secondo il presidente degli spedizionieri genovesi, ampliando l’offerta del porto attraverso la creazione di una Zes intra e retro-portuale, gli insediamenti produttivi dediti alla fase di lavorazione, packaging, personalizzazione e distribuzione dei prodotti potrebbero crescere esponenzialmente.
Ma l’istituzione di nuove aree economiche “privilegiate” in Italia è davvero una strada percorribile?
Nel nostro Paese c’è una proposta di legge governativa che sta arrivando al traguardo con l’obiettivo di inaugurare la prima Zona economica speciale nelle regioni del sud, mentre in Europa ne esistono già 16, oltre a 91 zone franche. Secondo Maurizio D’Amico, segretario generale del consultive board di Femoza (le Federazione mondiale delle Zone franche e Zone economiche speciali) creare una nuova Zes può essere più facile nel Sud Italia, in aree per le quali l’Ue prevede la possibilità di concedere maggiori incentivi fiscali alle imprese. Anche nel Nord Italia si possono comunque realizzare questi modelli di aree evolute che, pur godendo di minori sgravi fiscali, potrebbero comunque attirare aziende garantendo anche semplificazioni amministrative, doganali e infrastrutturali.
Meno possibilista è invece l’avvocato Stefano Zunarelli, partner dell’omonimo studio legale specializzato in diritto dei trasporti nonché componente della Struttura tecnica di Missione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, secondo cui in Italia sarà difficile ottenere l’autorizzazione ad aprire nuove Zes nonostante diverse regioni si stiano attivando per questo. «Allo stato attuale – dice - in Italia la Zona economica speciale è assai difficilmente evocabile perché si parla di strumenti concepiti soprattutto per rilanciare Paesi in via di sviluppo o comunque territori in difficoltà. Si potrebbe semmai pensare di richiedere una misura valida a livello nazionale per tutti i porti italiani indistintamente ma servirebbe in ogni caso l’ok di Bruxelles. È un’impresa improba ma si potrebbe provare a seguire questa strada».
L’avv. Zunarelli suggerisce semmai un approccio più concreto per attrarre nuovi insediamenti produttivi invitando imprese e istituzioni a cercare incentivi e sgravi laddove già previsti nell’ordinamento attuale sia nazionale che comunitario. «Mi riferisco – conclude il legale - ai regimi fiscali cui sottoporre determinate aree in materia di tributi locali (Imu, Tari, ecc.), ma penso anche a un trattamento privilegiato dei lavoratori sotto il profilo contrattuale e contributivo. Tutte misure adottabili con la normativa vigente».